Oggi lo Yoga rappresenta un simbolo di benessere, relax e serenità; non è raro infatti che venga utilizzato dai mass media, che ne hanno creato una vera e propria moda, come mezzo di comunicazione per i presunti benefici che apporta.
Quando poi le persone si trovano a voler provare a praticarlo pensando di andare sul tappetino per rilassarsi, si rendono conto che è un percorso tutt’altro che semplice e ben diverso da una foto pubblicitaria con una ragazza sorridente seduta in meditazione, godendosi il suo stato di beatitudine, simile ad un’icona di santità.

Yoga significa unione, ha radici molto antiche risalenti alla tradizione spirituale e filosofica Indiana.
Era ed è ancora la ricerca dell’unità tra il proprio Sé e la Coscienza Universale, la quale, una volta raggiunta, garantisce la liberazione e il disvelarsi del velo di Maya.

Il primo scritto relativo allo Yoga, lo Yoga Sutra del filosofo indiano Patanjali (un semplice prestanome), risale ad un periodo databile fra il V e il III sec a.c. ed è strutturato in aforismi, nei quali Patanjali definisce lo yoga come chitta vritti nirodhah, ovvero la restrizione delle fluttuazioni della mente, lo spegnimento del turbinio della coscienza, ed elenca e spiega gli 8 limbi (o stadi) dell’Ashtanga Yoga:
1. Yama (comandamenti morali universali)
2. Niyama (purificazione personale attraverso l’auto disciplina)
3. Asana (posizioni)
4. Pranayama (controllo ritmico del respiro)
5. Pratyahara (disacco dei sensi dalla realtà esterna)
6. Dharana (concentrazione)
7. Dhyana (meditazione)
8. Samadhi (stato di Supercoscienza, ossia l’unione con lo Spirito Universale)

Dando un’occhiata a questo breve, ma oserei dire intenso elenco, non può non venire il dubbio che intraprendere la via yogica sia qualcosa di più complesso di un po’ di stretching, come siamo spesso portati a pensare.
Secondo la filosofia indiana si tratta infatti di un vero e proprio stile di vita che, attraverso la pratica, piano piano inizia ad avvolgere e strutturare il sadhaka (il praticante) e che, ai tempi di Patanjali, portava inevitabilmente all’ascetismo.
Sorgerà spontaneo domandarsi come sia possibile poter gestire per noi occidentali una pratica di questo tipo, riuscendo comunque a mantenere il contatto con la società; perchè, parliamoci chiaro, risulta davvero difficile ad oggi fare gli asceti, il nostro sistema capitalistico non lascia spazio ad una scelta di questo tipo che, inutile negarlo, anche in India ai tempi di Patanjali era una pratica esoterica occulta riservata alla casta più agiata, ovvero i brahmani.

Tale controversia ha interessato già nel Secolo XX studiosi occidentali, in particolare il filosofo e psicoanalista Carl Gustav Jung, grande ammiratore dell’India.
Secondo i suoi studi la pratica dello Yoga, permetterebbe l’affiorare dell’inconscio, composto da parti scomode che sono in noi, difficili da accettare, che spesso preferiamo nasconderci. Una situazione che, se non gestita opportunamente, rischierebbe di esporci al naufragio psichico.

Indubbio è che il percorso verso la conoscenza e la liberazione debba passare per la presa di coscienza di quello che siamo oggi, nel bene e nel male.
Ciò che trovo meraviglioso della pratica yogica, secondo la mia esperienza personale, è che una volta entrata nella vita di una persona, che davvero ricerca la libertà ed il proprio benessere, la guida con gentilezza verso la propria meta.
Insegna a fermarsi, ascoltarsi, osservarsi ed accettarsi per quello che siamo in un determinato momento della nostra vita e lo fa in modo silenzioso senza alcun tipo di violenza, mostrandoci giorno dopo giorno le nostre predilezioni e la via verso la libertà dalle restrizioni mentali, modificando la percezione del mondo e rendendo sempre più palpabile ed esperibile il fatto che la vera mente risieda nel corpo.